Tecnologie e sistemi avanzati
ENERGY STORAGE
Progetto REMOTE: dimostrare la fattibilità tecnica ed economica di sistemi di energy storage, basati sulla tecnologia a idrogeno, da fonti rinnovabili a servizio di aree isolate e off-grid
25.10.2018
Testo dell’articolo
Per contrastare queste conseguenze è necessario definire un percorso di produzione energetica che riduca drasticamente l’impronta ambientale determinata dall’uso di combustibili fossili. Lo sfruttamento dell’energia rinnovabile disponibile, o RES (Renewable Energy Sources), è un fattore chiave di innovazione per quei territori che non dispongono del collegamento alla rete elettrica, soprattutto in chiave ambientale. Tuttavia, le RES presentano problemi di intermittenza che rendono difficile conciliare la domanda di energia con la continuità di servizio.
Questa criticità può però essere superata grazie allo sviluppo tecnologico di soluzioni di energy storage efficienti, ad alta densità energetica, economiche e affidabili poiché capaci di garantire la continuità del servizio. A tal fine è nato REMOTE (Remote area Energy supply with Multiple Options for integrated hydrogen-based TEchnologies), un progetto coordinato dal Politecnico di Torino in collaborazione con 10 partner europei.
REMOTE ha l’obiettivo di dimostrare la sostenibilità economica e tecnica di sistemi di energy storage, vere e proprie batterie ad accumulo, basate sulla tecnologia a idrogeno combinata con un elettrolizzatore che converte l’energia in eccesso prodotta da sistemi di energia rinnovabili (pale eoliche, pannelli fotovoltaici,…) in idrogeno. Il sistema di accumulo a idrogeno e celle a combustibile (fuel cell), poi, riconverte quando necessario l’idrogeno stesso in elettricità, superando così il problema dell’intermittenza, tipico delle fonti rinnovabili come quella eolica e solare.
Nell’ambito di REMOTE, sono in corso di allestimento 4 stazioni dimostrative (in Italia, Grecia e Norvegia) alimentate con elettricità generata da fonti rinnovabili, collocate in altrettante aree isolate, legate ad un approvvigionamento energetico sia da microreti (microgrids), sia totalmente staccate dalla rete elettrica.
Le località coinvolte sono: in Italia, Ambornetti alle pendici del Monviso e Ginostra sull’Isola di Stromboli; in Grecia, Agkistro nella regione di Serres; in Norvegia, l’isola di Froan nel Mar di Norvegia. Queste località, collocate in contesti ambientali e d’uso molto diversi, sono state individuate per il mix di energie rinnovabili utilizzabili nei test: si passa infatti dal caldo, soleggiato, ventoso Mediterraneo alla fredda e tempestosa Scandinavia, fino al particolare clima delle Alpi occidentali italiane.
Image credit: REMOTE project (premere sull’immagine per ingrandirla)
Fonti rinnovabili integrate con sistemi di accumulo power to power, basati sull’idrogeno, sono in grado di fornire un approvvigionamento di energia affidabile, costante, economica, e, soprattutto, ecologica poiché costituiscono una concreta alternativa all’uso dei gruppi elettrogeni diesel, un aspetto particolare importante nelle aree ad elevato valore ambientale, proprio come quelle del progetto.
Fornire energia pulita ed un servizio affidabile alle popolazioni che vivono in queste aree è una sfida tecnologica sotto il profilo sociale ed economico, poiché l’accesso a fonti di energia pulita a costi contenuti, è un elemento essenziale per lo sviluppo demografico, turistico ed imprenditoriale di questi territori. Quelli interessati da REMOTE vedranno una pressoché completa sostituzione dei combustibili fossili con energia rinnovabile, arrivando ad un’autonomia energetica che in alcuni casi raggiungerà il 100% del fabbisogno. L’esperienza acquisita con questo progetto in aree isolate e off-grid, aprirà la strada all’implementazione di soluzioni di energy storage basate sull’idrogeno per scale di produzione sempre maggiori.
Testo redatto su fonte Politecnico di Torino del 22 ottobre 2018
Per approfondimenti sul progetto REMOTE: www.remote-euproject.eu
Image credit: Argonne National Laboratory/U.S. Department of Energy
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CELLE FOTOVOLTAICHE
CNR: sfruttando le tecniche di spettroscopia ultraveloce, una ricerca italiana comprende come il DNA può migliorare le prestazioni di celle fotovoltaiche di nuova generazione
30.06.2018
Testo dell’articolo
Le celle solari polimeriche sono una classe di dispositivi fotovoltaici di nuova generazione che combinano l’efficienza di conversione energetica (da energia solare a elettrica) con la versatilità e il basso costo di produzione. Infatti, possono essere prodotte con comuni tecnologie di stampa o serigrafia e rese flessibili utilizzando substrati plastici, di conseguenza sono facilmente impiegabili in una vasta gamma di campi di applicazione che spaziano dal tessile fino al settore delle costruzioni.
Sotto l’aspetto tecnologico queste celle sono composte da differenti strati che prevedono anche l’impiego di materiali nanostrutturati, come lo strato fotoassorbente, il cuore del dispositivo, dove derivati del fullerene (nanomateriali) sono opportunamente mescolati con oligotiofeni (una classe di polimeri) al fine di raccoglie la radiazione solare.
All’interno dello strato fotoassorbente vengono a verificarsi differenti meccanismi fisici tali da produrre delle cariche che trasportate agli elettrodi permettono alla cella di produrre corrente elettrica.
Una delle sfide più importanti in questo ambito è ottimizzare lo strato fotoassorbente per incrementare le prestazioni della cella. Un approccio innovativo à stato proposto dai ricercatori dell’Università di Roma “Tor Vergata”, che hanno progettato un’architettura di cella polimerica dove uno strato di DNA viene depositato sotto lo strato oligotiofene-fullerene, inducendo un importante miglioramento dell’efficienza del dispositivo. Tali dispositivi sono stati studiati mediante spettroscopia ultraveloce ed in questo modo è stato possibile comprendere come il DNA riesca ad indurre un ordine a lungo raggio nell’oligotiofene e questo comporta un miglioramento dell’efficienza nella separazione della carica nel materiale fotoassorbente.
Questo risultato segna il passo per lo sviluppo di nuovi dispositivi fotovoltaici sempre più efficienti, andando a modulare opportunamente l’organizzazione dello strato fotoattivo.
Testo redatto su fonte CNR del 28 giugno 2018
Per approfondimenti: Enhanced Charge Separation Efficiency in DNA Templated Polymer Solar Cells – Advanced Functional Materials | 18.04.2018
Images credit: Michigan Engineering/University of Michigan
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CELLE FOTOVOLTAICHE
Celle solari a perovskite, CNR: ridotti i costi di produzione, migliorate prestazioni e durata a lungo termine grazie all’uso di un cristallo bidimensionale, il disolfuro di molibdeno
09.06.2018
Testo dell’articolo
I risultati dello studio sono pubblicati su Advanced Energy Materials nell’articolo Extending the Continuous Operating Lifetime of Perovskite Solar Cells with a Molybdenum Disulfide Hole Extraction Interlayer.
Le PSCs sono costituite da diversi strati: nello strato interno fotoattivo di perovskite si generano coppie elettrone-lacuna in conseguenza dell’assorbimento di luce solare. Le lacune e gli elettroni devono essere poi trasferiti dalla perovskite agli strati di materiali di trasporto in maniera efficiente, per evitare la loro ricombinazione prima di giungere agli elettrodi. É qui che sono intervenuti i ricercatori utilizzando scaglie bidimensionali di pochi strati atomici di disolfuro di molibdeno (MoS2) come materiale attivo interposto tra lo strato di trasporto e quello dell’ assorbitore di perovskite.
L’approccio originale utilizzato dai ricercatori del laboratorio di Spettroscopia di raggi-X del CNR-ISM si avvale di tecniche avanzate di caratterizzazione in situ per il controllo su scala nanometrica delle proprietà morfologico/strutturali e della stabilità dei materiali attivi costituenti i dispositivi. La maggiore stabilità dei dispositivi è dovuta al duplice ruolo benefico del MoS2: da un lato preserva l’interfaccia tra materiale fotoattivo e strato di trasporto e dall’altro rallenta l’invecchiamento strutturale della perovskite – fenomeni che invece si osservano in celle prive del cristallo bidimensionale. Il primo effetto trae vantaggio dalla capacità dell’ MoS2 di intrappolare tramite intercalazione una vasta serie di ioni e molecole, ostacolando nel caso delle PSCs il processo di migrazione degli ioni di Indio dall’elettrodo trasparente verso gli strati interni. Il secondo risultato è ascrivibile alla funzione di barriera che svolge lo strato di MoS2 rispetto alla diffusione di molecole d’acqua dagli strati igroscopici presenti nella cella verso la perovskite, e che di fatto inibisce la degradazione strutturale della perovskite stessa.
La ricerca dimostra, inoltre, il ruolo benefico dell’MoS2 anche nel processo di scalabilità delle PSCs: realizzando celle di grandi dimensioni (0,5 cm2 ) con l’interstrato di disolfuro di molibdeno si ottiene un’efficienza di conversione di potenza pari a 13,17%, nettamente più alta di quella dei dispositivi standard (10,64%). Queste indagini aprono la strada a PSCs ad alta efficienza, a grande area e ultrasottili con vite che si avvicinano agli standard industriali.
Nelle tecnologie a energia pulita, l’alta efficienza, il basso costo e la lunga durata di vita dei dispositivi sono fattori cruciali per raggiungere la commercializzazione e una ampia adozione. L’uso di perovskite nelle celle solari, promettente per l’alta fotoattività ed efficienza di conversione della luce, ha un forte limite: l’efficienza delle prestazioni degrada bruscamente durante il funzionamento, ed è attualmente il principale ostacolo alla commercializzazione delle tecnologie solari basate sulla perovskite. Questo studio mostra che tale limite potrebbe essere superato con una attenta integrazione di materiali bidimensionali nelle celle solari, ottimizzando le interfacce tra gli strati del dispositivo per produrre PSCs estremamente efficienti e stabili.
Testo redatto su fonte CNR dell’8 giugno 2018
Per approfondimenti: Extending the Continuous Operating Lifetime of Perovskite Solar Cells with a Molybdenum Disulfide Hole Extraction Interlayer – Advanced Energy Materials | 17.01.2018
Progetto Graphene Flagship: graphene-flagship.eu
CNR-GRAPHENE FACTORY: grafene.cnr.it
Image credit: Microquanta Semiconductor
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TECNOLOGIE INNOVATIVE
Progetto ENERTUN: utilizzare la galleria della metropolitana per realizzare sistemi di condizionamento e riscaldamento degli edifici in superficie e per produrre acqua calda
19.11.2017
Testo dell’articolo
Il primo “concio energetico” italiano si chiama ENERTUN ed è stato installato a scopo sperimentale nella tratta Lingotto-Bengasi della linea 1 della metropolitana di Torino in fase di costruzione.
ENERTUN è un elemento strutturale prefabbricato di rivestimento della galleria che consente di scambiare calore con il terreno adiacente in modo da produrre energia termica. Può essere impiegato nella realizzazione di gallerie scavate mediante le TBM (Tunnel Boring Machine), trasformando la galleria stessa in un grande scambiatore di calore con il terreno per realizzare sistemi di condizionamento e riscaldamento degli edifici in superficie e per produrre acqua calda.
Nella fase di sperimentazione sono stati installati due anelli interamente costituiti da conci geotermici: i primi dati raccolti dalla campagna di prova mostrano risultati molto promettenti, anche leggermente superiori alle valutazioni ottenute mediante i modelli numerici. La sperimentazione continuerà per un altro anno.
Il progetto di ricerca consentirà di testare lo scambio termico del prototipo di galleria energetica nel sottosuolo torinese in vista di possibili applicazioni future, come ad esempio la linea 2 della metropolitana che dovrebbe transitare in aree dove sono previsti nuovi insediamenti che potrebbero beneficiare del calore del sottosuolo, riducendone così l’impronta ecologica.
Il valore aggiunto di questa tecnologia risiede soprattutto nel fatto che si utilizza una struttura che sarebbe stata realizzata comunque. Viene così meno la necessità di scavare appositamente sonde e pozzi geotermici, con una conseguente riduzione dei costi complessivi.
La realizzazione di una galleria energetica consente di sfruttare il fatto che la temperatura del sottosuolo alla profondità di realizzazione dello scavo sia sostanzialmente costante tutto l’anno. Ad esempio a Torino risulta di 14 °C, quindi molto più bassa della temperatura esterna estiva, mentre d’inverno è vero il contrario. Grazie ad una pompa di calore si può sfruttare questa differenza di temperatura per “spostare” il calore da una parte all’altra, rinfrescando gli edifici d’estate e riscaldandoli d’inverno. Il concio ENERTUN consente lo sfruttamento intelligente di una fonte energetica locale e rinnovabile. Può trovare applicazione soprattutto nelle aree urbane, magari integrando la galleria energetica ai sistemi di teleriscaldamento.
Testo redatto su fonte Politecnico di Torino del 15 novembre 2017
Image credit: Politecnico di Torino
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CELLE A COMBUSTIBILE
FUEL CELL LAB: progetto di ricerca per lo sviluppo di sistemi complessi che coniughino le esigenze di energia a basso costo con le esigenze di sostenibilità ambientale
29.07.2015
Testo dell’articolo
In particolare saranno studiate e sviluppate piattaforme tecnologiche modulari basate su celle a combustibile per la cogenerazione-poligenerazione dell’energia (elettrica, termica e/o frigorifera) e per applicazioni mobili e/o trasportabili. In una prospettiva di medio-lungo termine, infatti, le celle a combustibile potranno rappresentare una soluzione di grande interesse grazie all’elevato rendimento di conversione anche in regolazione e alle ridottissime emissioni inquinanti, purché si riescano a raggiungere costi specifici competitivi e durata e affidabilità adeguate.
Le piattaforme saranno sviluppate secondo diverse configurazioni che terranno conto del tipo di applicazione previsto e quindi del tipo di utenza.
Tra le celle a combustibile saranno considerate le celle a carbonati fusi (MCFC) per la poligenerazione stazionaria, le celle ad ossidi solidi (SOFC) per la microcogenerazione e le celle ad elettrolita polimerico (PME) per le applicazioni mobili. É inoltre previsto lo studio e la prototipazione di celle microbiche (MFC) per la conversione diretta di rifiuti organici in energia elettrica (bioelettrolisi), anche in combinazione con processi di digestione per la produzione di biocarburanti (bio-idrogeno e bio-metano). I nuovi sistemi di conversione sviluppati sulla base delle nuove conoscenze acquisibili con il progetto e, pertanto, con caratteristiche prestazionali in termini di efficienza, emissioni inquinanti e climalteranti che non hanno riscontro nel panorama tecnologico internazionale di settore, contribuiranno in maniera determinante alla crescita delle aziende della filiera, che potranno allargare i loro orizzonti ben al di là degli attuali ambiti di settore.
L’attività di ricerca di FCLAB sarà orientata non solo alle varie tecnologie di celle a combustibile, ma anche e soprattutto allo sviluppo dei sistemi energetici basati su di esse. Le celle a combustibile, infatti, consentono una conversione energetica a basso impatto ambientale e ad alto rendimento, con potenziali benefici economici e ambientali una volte risolte le problematiche ancora aperte in termini di costi di produzione, affidabilità e durata della cella e dei componenti necessari al suo utilizzo. In particolare, sono previsti due obiettivi specifici per lo sviluppo di sistemi ad assorbimento di piccola taglia, per consentire la conversione di calore refluo in energia frigorifera anche per impianti di piccola potenza, e di sistemi di accumulo dell’energia elettrica, adatti alle piccole potenze e utilizzabili per applicazioni stazionarie e mobili.
Si studieranno tre diverse tecnologie di accumulo: batterie, sistemi a idrogeno e sistemi ad aria compressa, anche in combinazione fra loro. L’attività di ricerca, visto il tipo di applicazione (generazione distribuita e generazione mobile), sarà orientata anche allo studio dei sistemi di condizionamento della potenza e alla messa a punto delle logiche di controllo per la gestione dei diversi sistemi di generazione e per la connessione alla rete elettrica.
Testo redatto su fonte FCLAB dell’1 luglio 2015
Per approfondimenti: www.fclab.it
Image credit: NASA
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CELLE FOTOVOLTAICHE
Realizzata una cella elettrochimica di terza generazione in grado di catturare l’energia solare sfruttando il processo di fotosintesi in atto su coloranti naturali
11.05.2015
Testo dell’articolo
Nello studio “Vegetable-based dye-sensitized solar cells” pubblicato su Chemical Society Reviews, rivista del gruppo editoriale Royal Society of Chemistry, vengono raccolti gli studi dei ricercatori e le conoscenze finora prodotte a livello mondiale nell’utilizzo, come foto-sensibilizzatori, di coloranti vegetali estratti da frutta e fiori ed integrati in celle solari di terza generazione.
Come spiega Gaetano Di Marco (IPCF-CNR), la ricerca si è concentrata sulla cella solare di Grätzel, un dispositivo fotoelettrochimico costituito da diversi componenti posti in successione: il fotoanodo, che è realizzato con un vetro conduttore ricoperto da uno strato sottile di biossido di titanio sul quale il colorante è chemiadsorbito (un assorbimento su una superficie con consequenziale formazione di legami chimici), la soluzione elettrolitica a base di iodio e ioduro ed infine il contro-elettrodo dove, sempre utilizzando un vetro conduttore, viene deposto un catalizzatore, generalmente platino o carbonio.
In altri termini con la cellula di Grätzel si tenta di “imitare” la natura con la possibilità di raccogliere e trasformare l’energia proveniente dal sole sfruttando un ipotetico processo sintetico di fotosintesi clorofilliana, emulando quello che il fenomeno della fotosintesi permette alle piante.
Aldo Di Carlo (Università di Roma Tor Vergata) precisa che l’analisi svolta non si limita solo a celle di laboratorio, ma affronta il problema della scalabilità della tecnologia ai moduli fotovoltaici, identificando le architetture costruttive più promettenti e analizzando il costo dell’energia prodotta che può risultare minore rispetto a quella ottenuta con coloranti sintetici.
Per Francesco Bonaccorso (IIT) l’opportunità di sfruttare coloranti vegetali provenienti da scarti alimentari e di produzione per la conversione di energia solare, insieme con l’impiego di nanomateriali come ad esempio il grafene al posto di materiali preziosi (platino) e rari (indio, componente dell’ossido di stagno ed indio), potrebbe dare il via alla realizzazione di celle solari di prossima generazione sempre più economiche e al contempo ecosostenibili.
Testo redatto su fonte CNR del 5 maggio 2015
Per approfondimenti: Vegetable-based dye-sensitized solar cells – Chemical Society Reviews | 09.04.2015
Image credit: Chemical Society Reviews (2015) DOI: 10.1039/C4CS00309H
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MATERIALI INNOVATIVI PER L’ENERGIA
Semiconduttori nanostrutturati di dimensioni inferiori a 15 nm possono migliorare l’efficienza nella produzione di energia di celle fotovoltaiche e centrali termoelettriche
27.11.2014
Testo dell’articolo
In particolare, i semiconduttori nanostrutturati inferiori ai 15 nanometri sui quali è stata effettuata la sperimentazione sono stati messi a punto da Stefano Sanguinetti (Professore Associato di Fisica della Materia) e Sergio Bietti (Assegnista di Ricerca) del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Ateneo in cui si è sviluppata la specializzazione di controllare la materia a livello nanometrico, riconosciuta a livello internazionale. A vederli nelle immagini ottenute col microscopio a forza atomica, questi semiconduttori somigliano a dune isolate nel deserto (quantum dots).
Si tratta di strutture fatte di arseniuro di gallio che i ricercatori hanno fatto crescere in una macchina chiamata Molecular-Beam Epitaxy (MBE) nei laboratori L-NESS dell’Università di Milano-Bicocca a Como. “Contrariamente a quanto si supponeva – dice Stefano Sanguinetti che ha costruito i quantum dots – nei materiali nanostrutturati di dimensioni inferiori ai 15 nanometri, le vibrazioni prodotte dall’energia non si muovono dal punto di generazione con un moto diffusivo, che potremmo definire “a goccia di inchiosto”, bensì si spostano nel materiale senza degradarsi e deviare da traiettorie rettilinee come quelle di un proiettile. Questa importante scoperta ha implicazioni nel campo della generazione diretta di energia elettrica da fonti di calore, come nei materiali termoelettrici, e nel fotovoltaico avanzato”.
In queste micro-dune, infatti, l’energia rilasciata dal sistema elettronico rimane disponibile per un tempo che permette di sfruttarla meglio e in modo più efficiente. Si tratta del periodo di “fuori equilibrio”, un millesimo di miliardesimo di secondo o pico secondo, difficilmente concepibile dalla mente umana ma sufficiente a permettere l’immagazzinamento di quantità maggiori di energia prodotte ad esempio dalla differenza di calore, rispetto a strutture di dimensioni maggiori . “Questi semiconduttori nanostrutturati – conclude Sanguinetti – possono servire a migliorare l’efficienza di ciò che viene già fatto nella produzione di energia, dalle celle fotovoltaiche ad alta efficienza alle centrali termoelettriche”.
Testo redatto su fonte Università di Milano-Bicocca del 27 novembre 2014
Per approfondimenti: Diffraction of Quantum Dots Reveals Nanoscale Ultrafast Energy Localization – Nano Letters | 12.11.2014
Image credit: Univ. Milano-Bicocca/S.Sanguinetti e S.Bietti
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PRODUZIONE DI IDROGENO
CNR: sviluppato un sistema innovativo a basso consumo energetico che produce idrogeno con l’impiego di elettrodi nanostrutturati e soluzioni acquose da alcoli rinnovabili
23.07.2014
Testo dell’articolo
“Comunemente l’idrogeno si ottiene dal metano, un metodo che produce CO2 e quindi inquina”, spiega Vizza. “Un’alternativa pulita è quella dell’elettrolisi dell’acqua, processo che implica la scomposizione dell’acqua in ossigeno e idrogeno ‘a zero emissioni’, ma ha un elevato consumo energetico e, quando prodotto in alta pressione, presenta problemi di sicurezza poiché il mescolamento dei due elementi può generare miscele esplosive. La novità del nostro studio è che abbiamo messo a punto un elettrolizzatore in grado di produrre idrogeno, ma non ossigeno, a partire da soluzioni acquose da alcoli rinnovabili (etanolo, glicerolo o altri alcoli superiori estratti da biomasse), ottenendo un risparmio energetico del 60% rispetto all’elettrolisi dell’acqua. Come era noto, infatti, per rompere l’acqua in presenza di alcoli serve meno energia rispetto a quella necessaria quando c’è solo acqua, ma nessuno prima del nostro gruppo aveva pensato di sfruttare queste caratteristiche degli alcoli rinnovabili per la produzione di idrogeno”.
Cuore dell’esperimento sono gli elettrodi nanostrutturati impiegati in una cella elettrolitica di nuova generazione. “Si tratta di elettrocatalizzatori anodici costituiti da nanoparticelle di palladio, depositati su architetture tridimensionali di nano-tubi di titanio”, aggiunge il ricercatore dell’ICCOM-CNR, “grazie ai quali è possibile realizzare elettrolizzatori per produrre idrogeno da soluzioni acquose di alcoli derivati da biomasse, consumando 18,5 kWh per la produzione di 1 kg di idrogeno, rispetto a 45 KWh per 1 kg di idrogeno prodotto da sola acqua, un grande guadagno energetico ed economico. Il risultato supera abbondantemente le raccomandazioni dell’US DOE (United States Department Of Energy) che, entro il 2020, ha fissato un limite di 43 KWh di consumo di energia elettrica per kg di idrogeno prodotto”.
Diverse le potenziali ricadute tecnologiche della ricerca. “L’idrogeno pulito e a basso costo energetico, opportunamente immagazzinato, potrebbe servire per generare corrente elettrica da qualche kWh fino a potenze più alte: generatori di corrente portatili e stazionari, a zero impatto ambientale. Inoltre, l’elettrolizzatore dell’invenzione permette di ottenere, a partire da alcoli rinnovabili, composti ad alto valore aggiunto, utili nell’industria cosmetica e tessile (derivati del glicerolo e del glicole etilenico), alimentare (acetato da bioetanolo) e nella produzione di plastiche biodegradabili (acido lattico da propandiolo), attualmente ottenuti solo mediante costosi ed inquinanti processi industriali”, conclude Vizza.
Testo redatto su fonte CNR del 23 luglio 2014
Per approfondimenti: Nanotechnology makes biomass electrolysis more energy efficient than water electrolysis – Nature Communications | 03.06.2014
Image credit: Nature Communications (2014) DOI: 10.1038/ncomms5036
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